giovedì 27 settembre 2012

Stato ed equità

Il concetto di Stato implica, in primis, il concetto di equità dal quale, peraltro, non potrebbe prescindere: se infatti riconosciamo che il concetto di Stato presuppone quelli di condivisione e cooperazione, appare logico che i rapporti tra i suoi membri debbano essere regolati secondo un principio di equità, altrimenti l’individualismo umano prenderebbe il sopravvento dando origine ad una vera e propria lotta per la sopravvivenza in cui i concetti di partenza scomparirebbero. Questa equità dev’essere garantita dalla giustizia, che ha il compito di regolare i rapporti tra i membri appartenenti all’entità statale, garantendo una legittima distribuzione dei privilegi e tutelando l’interesse collettivo attraverso la tutela dei singoli che ad essa appartengono. John Rawls, tra gli altri, nel suo illuminante Una teoria della giustizia offre un’acuta disamina su tale concetto, prendendo come punto di partenza la teoria contrattualistica elaborata da Rousseau, il quale ipotizzava una presunta o comunque ideale situazione di partenza in cui gli esseri umani, privi di un qualunque ordinamento o gerarchia, si sarebbero accordati in maniera appunto equa, stipulando un contratto sociale nel quale stabilivano razionalmente gli onori e gli oneri dei singoli, in modo tale da poter giovare alla comunità in maniera eguale e di poter beneficiare equamente degli onori che tale associazione avrebbe comportato. Questa equa situazione iniziale, presunta o ideale, ci offre un chiaro esempio di ciò che si deve intendere con il termine equità, ossia ciò che dovrebbe costituire il punto di partenza di una qualunque società umana.

martedì 31 luglio 2012

L'Etica del contesto

La necessità di un dialogo tra la Filosofia politica e la Filosofia morale è, da sempre, fin troppo evidente, quasi naturale; non potrà mai esistere una valida teoria politica che non contempli dei precetti etici. Come detto, la teorizzazione di una Morale universale è impossiblie, poichè essa dovrebbe scaturire da un'entità immacolata e superiore cui l'essere umano dovrebbe volutamente subordinarsi, riconoscendole tale superiorità. Ciò è impossibile per il fatto che, nella società umana, un'entità con tali caratteristiche non esiste e, da un punto di vista trascendente, non esistono dimostrazioni valide oltre ogni ragionevole dubbio. I limiti della morale, però, non ne ridimensionano l'importanza, in quanto, come detto, essa concorre alla realizzazione e al sostegno della piramide sociale. Nel mondo esistono realtà socio-culturali molto differenti tra loro che, peraltro, non accetterebbero i dettami di una morale universale; ecco quindi che la Filosofia morale avrà il compito di teorizzare la cosiddetta Etica del contesto, un insieme di precetti morali, cioè, validi non per tutti, ma solo per un preciso gruppo di persone appartenenti ad un preciso contesto socio-culturale. Si verranno così a creare numerose etiche del contesto, destinate a regolare la vita morale di detrminati gruppi politicamente organizzati. Tali precetti, necessariamente, dovranno essere figli della realtà umana cui si rivolgono, dovranno cioè tener conto del contesto socio-culturale cui sono indirizzati.

lunedì 4 giugno 2012

L'utopia dell'anarchia

Tra le molte possibili forme di governo, quella che maggiormente si può ritenere utopica è l'anarchia. Robert Nozick si domandava se lo stato fosse effettivamente necessario o se, invece, un sistema anarchico non potesse riuscire laddove molte forme di governo, più o meno legittime, avevano fallito. Aristotele, prima ancora, sosteneva che l'uomo fosse uno zoon politikon, un animale politico, superiore all'animale (anarchico e apolitico per natura) per la sua inclinazione a darsi una struttura governativa. La filosofia politica ci fornisce molteplici esempi di teorie relative alla vera o presunta politicità dell'essere umano, poche sono invece, in proporzione, le teorie che credono all'anarchia come forma di governo stabile e sostenibile. L'anarchia si fonda su un assunto errato, ossia sul fatto che l'uomo sia in grado, per sua natura, di convivere pacificamente con i suoi simili. L'uomo, per natura individualista, egoista e belligerante, non può, nè mai potrà provvedere a se stesso senza una struttura in grado di guidarlo, intimorirlo, punirlo. Kant, uno dei più brillanti filosofi che la storia ricordi, sosteneva che l'uomo necessiti di un padrone, in quanto un'eccessiva libertà, lo porterebbe ad abusare della propria condizione, al fine di sopraffare i suoi simili. Ciò è vero, purtroppo, ed è il motivo per cui l'anarchia non può che considerarsi un'utopia, la più grande utopia in campo politico.

domenica 22 aprile 2012

La società della proibizione

Se scettico è colui che non accetta a priori ciò che gli viene imposto, ecco che la presenza di numerosi tabù e proibizioni morali all’interno della nostra società dimostrano in maniera incontrovertibile quanto gli uomini siano ancora lontani dal raggiungimento di una forma mentis scettica. Possibile che le moderne società si fondino su proibizioni, piuttosto che su concessioni? Ogni aspetto della vita, ormai da molto tempo, risulta fondata sul non si deve, piuttosto che sul si deve; ma per quale motivo un comportamento dovrebbe essere morale e giusto solamente se fondato sulla rinuncia? Già Nietzsche condannava i valori antivitali, imposti nella fattispecie dal Cristianesimo, affermando che la morale dei signori fosse stata lentamente ma inesorabilmente sostituita dalla cosiddetta morale degli schiavi. Egli sosteneva che a valori vitali come la forza, il coraggio e il vigore fisico, i sacerdoti avessero contrapposto valori nei quali potessero essere competitivi: valori antivitali fondati sulla rinuncia, come il sacrificio, l’elemosina e la castità. La società, con l’intensificarsi dell’influenza religiosa, ha accettato ossequiosamente questi nuovi valori, non domandandosi se effettivamente essi fossero più validi e legittimi dei precedenti. Li ha accettati e basta. Anche Onfray esprime oggi una ferma condanna nei confronti dell’antivitalità dilagante, promovendo, al contrario, valori vitali, che contrappone ai dogmi e alle proibizioni dell’autorità, nella fattispecie religiosa. L’autorità, del resto, di qualunque natura sia, da sempre trae giovamento dal rendere mansueta e totalmente accondiscendente la popolazione sottoposta. Questa resa incondizionata dinnanzi agli ordini superiori, religiosi o politici che siano, ha di fatto creato una popolazione la cui morale è fondata su valori antivitali:la rivolta, la ribellione, la sessualità hanno così assunto una connotazione negativa all’interno della società, di tutte le società, di tutte le religioni. Non pare più possibile mettere in discussione la validità dei precetti sui quali le moderne società si fondano. E così il potere e la religione non trovano ostacoli nell’affermare i propri dettami e nell’imporre le proprie regole, generando così una moltitudine sottomessa e prigioniera di tutto ciò che si è voluto imporre come giusto. L’uomo, al contrario, dovrebbe mettere in discussione tali regole, nonché dubitare della genuinità della miriade di proibizioni di cui oramai gli uomini sono vittime. Come possiamo infatti essere certi che ciò che è meglio debba necessariamente essere antivitale? Chi può dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che l’unico modo per essere virtuosi debba essere quello di obbedire? Potrebbe essere vero, potrebbe essere parzialmente vero ma, molto probabilmente, potrebbe anche non esserlo.

martedì 13 marzo 2012

La Rivoluzione francese: ieri come oggi

L’evento storico che meglio sintetizza il potere dello scetticismo è la Rivoluzione francese che si connotò, in maniera evidente, come la più grande rivoluzione scettica della Storia. Sotto la spinta dell’Illuminismo, il Terzo Stato comprese che i privilegi nobiliari nulla avevano a che vedere con il volere divino, non promanavano che dalla volontà stessa dei potenti di arricchirsi ancor di più e di mantenere saldo il proprio potere; nobili ed ecclesiastici vivevano e gozzovigliavano a spese della stragrande maggioranza della popolazione che veniva vessata e spremuta come un limone. La tassazione gravava solo sul Terzo Stato, mentre nobiltà e clero ne erano esentati; non solo: i ceti privilegiati percepivano lauti vitalizi ed erano i soli a poter ricoprire le cariche pubbliche che, peraltro, erano ereditarie. La maggioranza della popolazione viveva sulla terra e della terra, tra immani difficoltà; la borghesia, in alcuni casi molto ricca, vedeva frustrate le proprie ambizioni di poter effettuare una scalata sociale, non potendo accedere a quelle cariche che le erano precluse. Si iniziò a dubitare della legittimità di tale situazione, i ceti penalizzati iniziarono a domandarsi se la situazione fosse realmente logica e giusta o se, al contrario, non fosse una clamorosa ingiustizia che i potenti sbattevano in faccia alla popolazione con cinismo e noncuranza. La misura era colma, la situazione insostenibile ed ecco allora che ciò che durava da secoli cadde in una decina d’anni, non sotto i colpi dei fucili ma sotto i colpi dello scetticismo che aveva permesso di mettere in discussione ciò che fino a quel momento era stato dato per scontato. Il dubbio avvicinò gli scettici alla verità, andando a minare le fondamenta di una società fondata sul privilegio e l’iniquità; l’Ancien regime piano piano iniziò a sgretolarsi, i privilegi nobiliari decaddero e molte teste, tra cui quella del re Luigi XVI, caddero sotto la lama della ghigliottina. Libertà, uguaglianza e fratellanza divennero le basi per la nuova società; il privilegio era caduto, le gerarchie erano state sovvertite. La situazione purtroppo non durò, in quanto, come spesso accade, chi acquisisce il potere, di frequente si trasforma in ciò che a lungo ha ritenuto un proprio nemico: il potente. Lo scetticismo, comunque, era riuscito laddove nessuna arma, neanche la più potente, sarebbe mai riuscita; tutto parte dal pensiero, dall’approccio alle situazioni, da noi. La Rivoluzione francese fu prima di tutto una rivoluzione mentale, il trionfo dell’intelligenza e della ragione. Come visto l’Ancien regime si fondava su privilegi immotivati, ingiustizia, iniquità, impossibilità di effettuare una scalata sociale. Oggi la situazione è molto diversa?

giovedì 23 febbraio 2012

Dell'apparenza

Nulla più degli usi e dei costumi di una società, ne indica i limiti e le contraddizioni. Già Leopardi nelle Operette Morali vedeva la moda come la sorella della Morte, in grado di arrecare più danno agli uomini, di quanto non faccia la morte stessa. In realtà la moda mette in evidenza quanto l’essere umano rifiuti di pensare e al contempo accetti passivamente lo scorrere incessante degli eventi, un panta rei ininterrotto che lo travolge e lo trasporta suo malgrado. La società attuale, fondata sull’apparenza, appare dominata dalle mode del momento, piuttosto che dalla ragione; il dubbio lascia il posto all’accettazione passiva, la sostanza lascia il posto alla forma. L’economia, attraverso i costumi, tiene gli uomini sotto scacco, lanciandoli in una sfrenata corsa per l’apparenza: atteggiamenti, abbigliamento, beni materiali, divengono il tratto distintivo dell’essere umano che a tutto pensa, tranne che a pensare. E’ sempre stato così, ma oggi l’influenza delle mode sulle vite umane è clamorosamente evidente: ieri si possedeva per avere, oggi si possiede per distinguersi da chi non ha o non può avere. L’uomo infatti al giorno d’oggi tende a primeggiare, piuttosto che ad affermarsi, preferendo essere superiore agli altri, piuttosto che raggiungere i propri obiettivi, a prescindere da ciò che fanno gli altri. Ecco quindi che ci si veste in un determinato modo per assomigliare a qualcuno, si acquistano oggetti costosi per mostrare gli altri che ce li si può permettere, si assumono atteggiamenti atti ad imporre la propria personalità su quella degli altri. Logica conseguenza di questo usus, è il costituirsi dei già citati finti valori che oramai dominano la società odierna. Di fronte a tale situazione, ogni uomo dovrebbe fermarsi, dubitare, valutare, quindi scegliere. Dovrebbe battersi per affermare la propria essenza, soddisfare le proprie inclinazioni, senza assecondare aprioristicamente l’imposizione delle mode e dei costumi del momento che esse, altro non fanno se non snaturare l’essere umano. Questa tendenza al subire, perché di questo si tratta, mostra in maniera fin troppo chiara quanto l’uomo abbia ormai perso l’abitudine di dubitare e di affrontare in maniera scettica la propria vita, poiché sarebbe sufficiente porsi dinnanzi alla realtà dubitando dell’universalità di ciò che ci viene continuamente propinato, per comprendere quanto poco di universale in verità ci sia. L’apparenza non potrà mai essere sostanza e solamente rendendosi conto di ciò, l’uomo potrà scrollarsi di dosso il giogo della moda e intraprendere l’impervia via che conduce all’affermazione della propria essenza. Com’è possibile non domandarsi se i modelli che continuamente ci vengono proposti, non siano in realtà uno strumento nelle mani di qualcuno che grazie ad esso muove i fili per far danzare gli uomini come fossero marionette? Come possiamo lamentarci della società se siamo noi stessi a sacrificarci come vittime accondiscendenti sull’altare dell’apparenza?

martedì 7 febbraio 2012

La società contemporanea

La società contemporanea si differenzia da quelle del passato, essenzialmente per il fatto che, oggi, l’uomo riconosce come valore un qualcosa che, tempo addietro, non veniva definito come tale. In realtà, semplificando il discorso, per l’uomo i valori sono mutati. Detto che risulta impossibile definire oltre ogni ragionevole dubbio ciò può essere inserito nell’insieme dei cosiddetti valori, l’uomo moderno rifiuta di mettere in discussione ciò che può essere realmente ricondotto in tale raggruppamento, preferendo accettare passivamente e di buon grado ciò che il sistema ha oramai stabilito. Sono caduti i tabù e le proibizioni, non esistono più i limiti, la vita umana pare valere meno dei beni materiali e di conseguenza anche i cosiddetti nuovi valori si sono adattati ad una società che non fa altro che imporre modelli da seguire, senza che questi siano il frutto di un’accurata analisi scettica. I valori non esistono, poiché essi sono imposti dalla società che però, essendo per sua natura mutevole, non può generare nulla di universale ma solamente frutti mutevoli e quindi effimeri. L’uomo, per sua natura, tende a considerare come valore ciò che lo rende meritevole di stima e che, quindi, lo avvantaggia; in virtù di questo la società, emanazione dell’essere umano, non solo tollera ed eleva a valore, un qualcosa che non possiede il benché minimo barlume di universalità ma esalta, invita a seguire ed impone comportamenti per nulla giovevoli alla comunità quanto piuttosto lesivi per essa. Basti pensare al denaro, alla bellezza, alla continua corsa all’apparenza; falsi miti creati ad arte per arrecare vantaggio alla ristretta minoranza che, grazie ad essi, si può avvantaggiare. Un’analisi scettica consentirebbe di comprendere quanto quello che oggi chiamiamo valore sia in realtà, semmai, un obiettivo da raggiungere, non un punto cardine sul quale fondare la società. L’uomo dovrebbe capire che non necessariamente quello che ci viene proposto dev’essere accettato ossequiosamente, ma dev’essere analizzato, messo in dubbio e, se necessario, ridimensionato. Ciò non avviene poiché l’essere umano non dubita, non si interroga e, così facendo, ha creato una società schiava dei governi, delle istituzioni, dell’economia, delle mode. L’uomo oggi non è protagonista della società, non è protagonista della propria vita; ciò perché ha fatto dell’accettazione la propria Filosofia, smettendo di dubitare, non mostrando più alcun interesse verso la ricerca di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, verso la ricerca di ciò che, universalmente, è vero o falso.