giovedì 23 febbraio 2012

Dell'apparenza

Nulla più degli usi e dei costumi di una società, ne indica i limiti e le contraddizioni. Già Leopardi nelle Operette Morali vedeva la moda come la sorella della Morte, in grado di arrecare più danno agli uomini, di quanto non faccia la morte stessa. In realtà la moda mette in evidenza quanto l’essere umano rifiuti di pensare e al contempo accetti passivamente lo scorrere incessante degli eventi, un panta rei ininterrotto che lo travolge e lo trasporta suo malgrado. La società attuale, fondata sull’apparenza, appare dominata dalle mode del momento, piuttosto che dalla ragione; il dubbio lascia il posto all’accettazione passiva, la sostanza lascia il posto alla forma. L’economia, attraverso i costumi, tiene gli uomini sotto scacco, lanciandoli in una sfrenata corsa per l’apparenza: atteggiamenti, abbigliamento, beni materiali, divengono il tratto distintivo dell’essere umano che a tutto pensa, tranne che a pensare. E’ sempre stato così, ma oggi l’influenza delle mode sulle vite umane è clamorosamente evidente: ieri si possedeva per avere, oggi si possiede per distinguersi da chi non ha o non può avere. L’uomo infatti al giorno d’oggi tende a primeggiare, piuttosto che ad affermarsi, preferendo essere superiore agli altri, piuttosto che raggiungere i propri obiettivi, a prescindere da ciò che fanno gli altri. Ecco quindi che ci si veste in un determinato modo per assomigliare a qualcuno, si acquistano oggetti costosi per mostrare gli altri che ce li si può permettere, si assumono atteggiamenti atti ad imporre la propria personalità su quella degli altri. Logica conseguenza di questo usus, è il costituirsi dei già citati finti valori che oramai dominano la società odierna. Di fronte a tale situazione, ogni uomo dovrebbe fermarsi, dubitare, valutare, quindi scegliere. Dovrebbe battersi per affermare la propria essenza, soddisfare le proprie inclinazioni, senza assecondare aprioristicamente l’imposizione delle mode e dei costumi del momento che esse, altro non fanno se non snaturare l’essere umano. Questa tendenza al subire, perché di questo si tratta, mostra in maniera fin troppo chiara quanto l’uomo abbia ormai perso l’abitudine di dubitare e di affrontare in maniera scettica la propria vita, poiché sarebbe sufficiente porsi dinnanzi alla realtà dubitando dell’universalità di ciò che ci viene continuamente propinato, per comprendere quanto poco di universale in verità ci sia. L’apparenza non potrà mai essere sostanza e solamente rendendosi conto di ciò, l’uomo potrà scrollarsi di dosso il giogo della moda e intraprendere l’impervia via che conduce all’affermazione della propria essenza. Com’è possibile non domandarsi se i modelli che continuamente ci vengono proposti, non siano in realtà uno strumento nelle mani di qualcuno che grazie ad esso muove i fili per far danzare gli uomini come fossero marionette? Come possiamo lamentarci della società se siamo noi stessi a sacrificarci come vittime accondiscendenti sull’altare dell’apparenza?

martedì 7 febbraio 2012

La società contemporanea

La società contemporanea si differenzia da quelle del passato, essenzialmente per il fatto che, oggi, l’uomo riconosce come valore un qualcosa che, tempo addietro, non veniva definito come tale. In realtà, semplificando il discorso, per l’uomo i valori sono mutati. Detto che risulta impossibile definire oltre ogni ragionevole dubbio ciò può essere inserito nell’insieme dei cosiddetti valori, l’uomo moderno rifiuta di mettere in discussione ciò che può essere realmente ricondotto in tale raggruppamento, preferendo accettare passivamente e di buon grado ciò che il sistema ha oramai stabilito. Sono caduti i tabù e le proibizioni, non esistono più i limiti, la vita umana pare valere meno dei beni materiali e di conseguenza anche i cosiddetti nuovi valori si sono adattati ad una società che non fa altro che imporre modelli da seguire, senza che questi siano il frutto di un’accurata analisi scettica. I valori non esistono, poiché essi sono imposti dalla società che però, essendo per sua natura mutevole, non può generare nulla di universale ma solamente frutti mutevoli e quindi effimeri. L’uomo, per sua natura, tende a considerare come valore ciò che lo rende meritevole di stima e che, quindi, lo avvantaggia; in virtù di questo la società, emanazione dell’essere umano, non solo tollera ed eleva a valore, un qualcosa che non possiede il benché minimo barlume di universalità ma esalta, invita a seguire ed impone comportamenti per nulla giovevoli alla comunità quanto piuttosto lesivi per essa. Basti pensare al denaro, alla bellezza, alla continua corsa all’apparenza; falsi miti creati ad arte per arrecare vantaggio alla ristretta minoranza che, grazie ad essi, si può avvantaggiare. Un’analisi scettica consentirebbe di comprendere quanto quello che oggi chiamiamo valore sia in realtà, semmai, un obiettivo da raggiungere, non un punto cardine sul quale fondare la società. L’uomo dovrebbe capire che non necessariamente quello che ci viene proposto dev’essere accettato ossequiosamente, ma dev’essere analizzato, messo in dubbio e, se necessario, ridimensionato. Ciò non avviene poiché l’essere umano non dubita, non si interroga e, così facendo, ha creato una società schiava dei governi, delle istituzioni, dell’economia, delle mode. L’uomo oggi non è protagonista della società, non è protagonista della propria vita; ciò perché ha fatto dell’accettazione la propria Filosofia, smettendo di dubitare, non mostrando più alcun interesse verso la ricerca di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, verso la ricerca di ciò che, universalmente, è vero o falso.