lunedì 26 dicembre 2011

L'uomo e Dio

Il rapporto tra l'uomo e Dio, è da sempre il problema più controverso e maggiormente dibattuto in ambito filosofico. Qualunque sia la divinità in questione, la società si divide in credenti e non credenti, la stessa Filosofia ha assunto nel tempo posizioni divergenti sulla questione. Molte sono le dimostrazioni dell'esistenza di Dio, nessuna pienamente convincente e accettabile oltre ogni ragionevole dubbio; altrettante sono le teorie secondo cui la divinità non esisterebbe, basti pensare a Feuerbach e Onfray, ma anche in questo caso, esse non risultano accettabili oltre ogni ragionevole dubbio. Molti sono gli elementi che ci potrebbero portare a credere, molti altri quelli che ci potrebbero portare a non credere. In realtà l'uomo non è certo di nulla, sicuramente non è in grado di dare una risposta ai grandi interrogativi dell'umanità; sbagliano coloro che accettano ossequiosamente l'esistenza di Dio senza porsi domande e senza dubitare, parimenti sbagliano coloro che, a priori, ne escludono l'esistenza. Credenti e atei danno origine ad uno scontro frontale fra due fondamentalismi, in quanto entrambi sostengono strenuamente la propria posizione, escludendo aprioristicamente la possibile veridicità del contraltare. Il so di non sapere socratico e la dotta ignoranza di Cusano ci indicano la strada da seguire: prendere coscienza della propria impossibilità nel rispondere all'interrogativo relativo all'esistenza di Dio e ricercare la verità dubitando di tutto ciò che non può essere dimostrato o escluso in maniera assolutamente certa: l'esistenza di Dio, infatti, non può essere dimostrata in maniera indiscutibile e indubitabile ma non può neppure essere esclusa oltre ogni ragionevole dubbio.

martedì 20 dicembre 2011

L'attualità della Letteratura: la filosofia del giovane Holden


Holden Caulfield studia presso un college in Pennsylvania e da un punto di vista scolastico i suoi risultati sono decisamente scarsi, nella quasi totalità delle materie; egli, tuttavia, si mostra indifferente e scanzonato, anche quando viene bocciato. In seguito al litigio con il compagno di stanza, abbandona anzitempo il college, preferendo fare ritorno a casa, a New York. Non volendo rendere noto ai genitori il proprio insuccesso scolastico, Holden, una volta in città, alloggia presso un Hotel; qui inizia a bighellonare per la città, barcamenandosi come gli riesce, mantenendo il suo solito piglio canzonatorio nei confronti della vita. Dopo alcune peripezie ed esperienze di vita, decide di fare ritorno a casa, al fine di rivedere la sua piccola sorella Phoebe, con l'intenzione di non farsi scoprire dai genitori. I genitori di Holden, quella sera, sono fuori casa e lui, di conseguenza, riesce ad intrattenersi con l'amata sorellina, alla quale vuole molto bene.Al ritorno dei genitori, Holden riesce a fuggire di casa senza farsi scoprire. Si reca quindi dal suo vecchio docente di inglese, il professor Antolini. Dopo questa visita, Holden se ne va, deciso a prendere il treno per l'ovest dove intende cercare fortuna. Desideroso di salutare per l'ultima volta la sorella, le dà un appuntamento, al quale, però, ella si presenta chiedendo al fratello di portarla con sè. Holden, a questo punto, commosso, decide di ritornare a casa. Il romanzo si conclude con Holden, in cura da uno psicanalista.

Holden rappresenta un po' quello che tutti noi, avremmo voluto essere, almeno una volta. Il desiderio di evasione, di fuga dalla realtà, la voglia di leggerezza, di poter vivere una vita spensierata senza prendersi troppo sul serio, incarna il desiderio latente di tutti gli esseri umani. I desideri cozzano con gli affetti e ad un certo punto della propria vita, tutti si trovano a dover fare i conti con la realtà ma quel periodo scanzonato, quella vita a tratti dissipata, in fuga da tutto e da tutti, fa capire ad Holden Caulfield e a tutti noi, il valore del dono più bello che gli uomini possano desiderare: non il denaro, non la bellezza, non i beni materiali ma la libertà...anche quella di poter sbagliare.

domenica 18 dicembre 2011

Elogio dello scetticismo

Oggi tutti appaiono sicuri di tutto, tutti ritengono di possedere la verità nelle proprie tasche ma si sbagliano. E si sbagliano di grosso. L'uomo non sa o comunque sa molto poco e, del resto, ai grandi interrogativi non può rispondere; altrimenti questi non sarebbero tali. Ogni uomo deve ricercare le grandi verità dubitando, assumendo una posizione scettica riguardo qualunque quesito, non postulare verità se non quando le può dimostrare o negare oltre ogni ragionevole dubbio. Chiunque si erga a custode della verità, consciamente o inconsciamente sbaglia, poiché solo l’evidenza è affermabile con sicurezza assoluta. La posizione scettica è la più intelligente e acuta possibile, oltre che l’unica, in quanto riesce a farci prendere coscienza dell’unica verità indiscutibile: l’evidenza. Questo scetticismo non è da confondersi con il so di non sapere socratico, che vedeva nella consapevolezza della propria ignoranza il punto di partenza per ogni analisi o discorso filosofico; l’individuo non deve partire dalla propria ignoranza ma da ciò che sa, da ciò che conosce. Solo da quello. Dobbiamo quindi partire dalla nostra conoscenza, che può essere anche molta ma necessariamente è ristretta al campo dell’evidenza. Spingersi oltre, postulare verità senza poterle dimostrare rigetta l’uomo nell’oblio dell’ignoranza. Tutto può esistere, certo; ma in realtà esiste solo ciò che può essere dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. Negare l’esistenza di qualcosa che non vediamo, per certi versi equivarrebbe ad affermare l’esistenza di qualcosa che non vediamo, infatti se non si può affermare che un qualcosa esiste senza dimostrarlo, è altrettanto vero che non si può negare l’esistenza a priori di un qualcosa che non ci risulta evidente, poiché potrebbe esistere a prescindere dalla nostra incapacità di rendercene conto.
Il dubitare, del resto, non parte dall’ignoranza ma al contrario dalla sapienza, sapienza di ciò che sappiamo. Di tutto ciò che non è dimostrabile, non dobbiamo escludere l’esistenza, poiché equivarrebbe al gesto dello struzzo di ficcare la testa sotto la sabbia; gli uomini non sono struzzi e per tale motivo, ciò che non è dimostrabile deve generare in noi il molteplice dubbio: potrebbe essere/potrebbe non essere, potrebbe esistere/potrebbe non esistere, Sarebbe infatti sbagliato credere a ciò che non può essere dimostrato, allo stesso modo in cui sarebbe errato, proprio per tale motivo, escluderlo. Se potessimo ritornare indietro nel tempo e ci trovassimo catapultati nel Medioevo e chiedessimo a un passante se sia possibile per l’uomo volare, ci risponderebbe con sicurezza in maniera negativa, non esistendo all’epoca dimostrazioni relative a tale possibilità; rispondendo di no, comunque, sbaglierebbe, poiché, come oggi ben sappiamo, il volo è possibile. Se il nostro amico medioevale rispondesse invece di non escluderne la possibilità, risponderebbe nella maniera corretta. E la Storia, come sappiamo, gli darebbe ragione.

venerdì 16 dicembre 2011

Il genio

L'essere umano, da sempre, risulta affascinato dalla figura del genio, ossia da colui che è dotato di una sensibilità talmente spiccata in un determinato ambito, tale scavalcare i confini che delimitano lo stesso. La sua attività è inspiegabile. non può in alcun modo essere razionalizzata, nè può essere equiparata a quella di altri. Il genio è dotato di un'intuizione e di un'ispirazione che trascendono la perizia tecnica della sua stessa arte. Michelangelo, Raffaello, Einstein, Mozart, Leopardi, sono eccelsi per le loro intuizioni e non per la messa in pratica delle stesse; essi vedono laddove i comuni mortali non vedono, pensano ciò che la moltitudine non pensa. La realizzazione pratica dell'intuizione è secondaria, è l'intuizione in se stessa a costituire l'essenza del genio. Il genio poi, con la sua inspiegabile ispirazione, regola e stabilisce i canoni della propria arte; egli, infatti, mostra il punto più alto che la disciplina nella quale si cimenta possa raggiungere, determina il punto d'arrivo oltre al quale non è possibile andare. Ma com'è possibile l'esistenza del genio? Da dove trae la propria ispirazione, così inspiegabile e così straordinaria? La Filosofia ha più volte tentato di rispondere a questo quesito, senza riuscire ad offrire una risposta certa, vera oltre ogni ragionevole dubbio e, probabilmente, non sarà mai in grado di farlo. Qualunque sia la verità, la genialità, a prescindere dal campo nel quale si manifesti, parrebbe mostrare l'esistenza del metafisico, dell'ultraterreno, del divino.

mercoledì 14 dicembre 2011

La società dell'obbedienza

La nostra società risulta essere quanto mai fondata sulla passiva accettazione delle imposizioni, un ossequioso e aprioristico subire, un continuo e ridondante obbedire anche alle più inique e ingiuste imposizioni. Ogni aspetto della vita umana è fondato su tale sistema, un sistema frutto dell'ignoranza collettiva. Nessuno si pone domande, non ci si interroga se ciò che ci viene imposto sia giusto oppure sbagliato, si accetta e basta. Sempre e comunque. La società ci impone religione, politica, costumi e noi accettiamo tutto non ponendoci la benchè minima domanda sulla legittimità di tali imposizioni. L'uomo si sta spersonalizzando, si sta uniformando alle regole dettate da un sistema che gode nel vedere realizzato il proprio esercito di cloni obbedienti. Occorre avviare un processo volto a riaffermare l'essenza del singolo che, quindi, emancipandosi dalla condizione di vittima, assurgerebbe al ruolo di protagonista di una società che ora più che mai lo sta travolgendo con la forza di un fiume in piena. Gli uomini debbono ricominciare a porsi interrogativi, a ricercare risposte, a seguire la propria indole e le proprie inclinazioni, mettendo in discussione, qualora fossero inique, tutte le imposizioni promananti dall'alto. Fintanto che l'uomo accetterà a priori tutto ciò che gli verrà imposto, non potrà lamentarsi della propria condizione ma soltanto compiacersene, in quanto essa, non sarebbe altro che la logica conseguenza di un comportamento intellettualmente ignorante.

lunedì 12 dicembre 2011

L'uovo e la gallina

I colpevoli di questa dilagante degenerazione della società siamo noi. Noi infatti abbiamo accettato, subito e mitizzato le imposizioni e le consuetudini imposteci dalla Storia e dalla contemporaneità. L’uomo, essere pensante solamente sulla carta, ha generato, con il suo rifiuto ad approcciarsi in maniera critica ai problemi e ai dettami promananti dall’alto, una società del tutto e subito; l’ignoranza umana infatti, con il suo meticoloso lavoro attraverso il tempo ha tolto la speranza nel futuro, facendo si che oramai si preferisca un minimo risultato immediato piuttosto che la possibilità di raccogliere in futuro frutti ben più grossi e gustosi, seminati oggi. Si predilige ottenere poco subito anziché molto in futuro, si preferisce l’uovo oggi anziché la gallina domani. Si sono perse l’ambizione e la speranza, componenti necessarie per migliorarsi ed evolversi. Perché è avvenuto questo? Semplicemente perché la nostra accettazione passiva ha fatto in modo che il nostro domani si sgretolasse a poco a poco, generando disparità e disuguaglianza. Non è certo un discorso politico, le fazioni non centrano nulla, è il sistema ad essere sbagliato. Abbiamo assistito inebetiti all’accentramento del potere nelle proprie mani da parte dei potenti, non ponendoci il benché minimo interrogativo, non dubitando di nulla, non domandandoci se ciò che ci veniva proposto fosse giusto o meno, non comprendendo il pericolo al quale stavamo andando incontro. Siamo vittime della società, non ne siamo più protagonisti da molto tempo e ciò, come detto, per colpe esclusivamente nostre. Precarietà, povertà, disoccupazione, falsi miti, non sono altro che il logico risultato del comportamento ottuso degli uomini, soprattutto in età contemporanea. La Rivoluzione Francese ha insegnato come il dubbio e lo scetticismo possano sovvertire gerarchie consolidate da secoli. Si perché la rivoluzione nacque nel momento in cui la popolazione prese coscienza di essere stata sfruttata e spremuta senza la benché minima razionalità, nacque nell’istante in cui il Terzo Stato comprese di essere vittima sacrificale nelle mani di una ristretta cerchia di privilegiati che lo immolava per soddisfare le proprie esigenze e raggiungere i propri obiettivi. Una società fondata sul tutto e subito è sempre il termometro di una situazione negativa, un termometro che ci avvisa che è giunta l’ora di cambiare, di voltare pagina, di tornare a lottare per la gallina domani.

"Della coerenza" ovvero la filosofia di Luis Enrique

Tutto è filosofia, ogni angolo, ogni azione, qualunque cosa brulica di filosofia. Anche lo sport può offrire spunti filosofici, nella fattispecie il calcio e più precisamente Luis Enrique ne possono offrire uno particolarmente significativo. L'allenatore della Roma sembra Don Chisciotte, da solo contro i mulini a vento, paladino delle cause perse, incurante di tutto e tutti. E fa bene; lotta con le unghie e con i denti per vedere realizzato in campo quello che, per ora,  è realizzato solo nella sua testa, il suo calcio. Lo spagnolo è dotato di quello che oggi è forse il dono più raro: la coerenza; la convinzione nelle proprie idee lo pone come una sorta di eroe moderno in grado di resistere alle turbolenze di un mondo instabile come quello del calcio, una nave in balia delle onde che resiste a venti contrari. Mi piace questo spagnolo, coerente fino all'eccesso, in grado di difendere le proprie idee davanti a tutto. Questo atteggiamento dovrà per forza essere premiato, forse non oggi, magari non domani ma prima o poi sarà premiato. Il mondo oggi manca di coerenza e iniziativa, non troviamo più la perseveranza nel percorrere la strada che si ritiene giusta, tanto che, coloro che lo fanno, sono dei veri e propri eroi moderni. Chi ha lottato per le proprie idee ha cambiato il mondo, chi ha subito il corso degli eventi, viceversa, dal mondo è stato cambiato. L'uomo oggi necessita di quei sogni e quegli ideali che la società piano piano gli ha strappato, combattere contro i mulini a vento, come Don Chisciotte, è meno stupido di quanto sembri. Il mondo dev'essere cambiato e per cambiarlo servono idee, idee che riusciranno a far capitolare anche i mulini. Forza Luis Enrique, forse non lo sai ma, per certi aspetti, rappresenti quello che molti vorrebbero ma non possono essere.

domenica 11 dicembre 2011

La morale

Che cos'è la morale? A questo quesito la Filosofia, da sempre, tenta di dare una risposta. E' forse l’insieme dei comportamenti dettatici dalla religione verso cui siamo ossequiosi? O forse l’insieme delle regole dettate dall’autorità detentrice del potere temporale? O meglio ancora ciò che non lede agli altri? Nulla di tutto questo. Di fatto, per l’impossibilità nel dare una risposta certa, la morale non può essere delimitata entro precisi confini. Ma analizziamo più a fondo il problema. Se un comportamento morale fosse un comportamento dettato dalla religione cui un individuo appartiene, ecco che egli si potrebbe quindi comportare di conseguenza, non prima però, di aver dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio l’esistenza dell’entità da cui la morale promanerebbe ma ciò, come sappiamo, non è possibile. Se la morale fosse un qualcosa di scaturente dall’autorità governativa, ecco che bisognerebbe riconoscere ad essa qualità superiori a quelle della moltitudine ma anche questo sarebbe impossibile. Quali strumenti avremmo infatti per reputare oltre ogni ragionevole dubbio il sovrano, il principe, il governo come un’entità superiore in grado di indicare i comportamenti retti e migliori per tutti? Potremmo escludere categoricamente un interesse da parte dell’entità promanante o potremmo in maniera assoluta ritenerla giusta? Certamente no. Non sta in piedi neanche la teoria secondo cui sarebbe morale ciò che non lede agli altri, poiché in questo caso, un suicidio sarebbe da reputarsi morale in quanto non lederebbe al prossimo. Non è possibile, quindi, stabilire ciò che è realmente morale, possiamo e dobbiamo invece, chiederci se ciò che ci viene proposto come tale sia effettivamente la Verità oppure se, al contrario, non lo sia.

L'attualità della Letteratura: la filosofia nelle Operette Morali


Come visto la Letteratura offre straordinari spunti filosofici e, nessuno meglio di Giacomo Leopardi è in grado di fare filosofia attraverso la letteratura. In questo senso le Operette Morali rappresentano un'opera che si connota come filosofica prima ancora che letteraria.
Tra i dialoghi contenuti all'interno dello scritto leopardiano, meravigliosamente attuale risulta essere il dialogo della Moda e della Morte. Leopardi immagina un ideale dialogo tra la Moda e la Morte. Entrambe si riconoscono il compito di rinnovare il mondo, anche se in maniera differente: la prima intervenendo sui costumi, la seconda sulla vita. La Moda, tuttavia, interviene a sua volta sulle vite umane, facendo si che gli esseri umani dimentichino i propri compiti, i valori e le priorità, sacrificandoli all'apparenza che, altro non è, se non l'essenza stessa della moda. Per certi versi, esattamente come la morte, anche la moda toglie la vita, snaturando gli uomini, uniformandoli gli uni agli altri e privandoli del proprio essere e della propria personalità.
Ecco quindi che le strade si popolano di individui tutti uguali, accomunati dal comune obiettivo di assecondare le mode e le tendenze del momento, lanciati in una folle corsa all'apparenza.

Leopardi con la sua consueta lungimiranza, nella sua breve vita lunga appena trentanove anni, ci mostra quanto gli uomini siano per natura inclini a seguire le tendenze imposte dalla massa, piuttosto che il proprio istinto e la propria indole. Oggi come ieri, pochi si elevano sugli altri decidendo di essere; i più, decidono semplicemente di apparire, sacrificando la propria natura.

Il ritorno dell'Ancien Regime

Come volevasi dimostrare: rinviati i tagli agli stipendi degli onorevoli. Non che la cosa sorprenda, anzi. Viviamo in una sorta di Ancien Regime francese, in cui i moderni privilegiati si aggrappano al privilegio con le unghie e con i denti, gelosi del potere e dei benefici che la società conferisce loro. I moderni privilegiati sono onorevoli e politicanti, membri di una casta arrogante e illegittima; Come scritto, il potere necessita di sottoposti disposti a subire e mantenere i privilegi dell'elite, è interesse del potere sottomettere il popolo e sottoporlo a vessazioni continue, altrimenti, come visto, non sarebbe potente. Per sua stessa essenza il potere contempla la sottomissione, ciò era vero ieri, è vero oggi e lo sarà anche domani.
Alla vigilia della Rivoluzione Francese, il 90% della popolazione viveva sulla terra e della terra, la nobiltà e il clero ricevevano sostanziosi vitalizi e non pagavano le tasse che gravavano interamente sul Terzo Stato; la carriera politica era preclusa a chiunque non fosse di estrazione sociale nobile, le cariche erano ereditarie e non vi era possibilità di effettuare una scalata sociale; circa il 70% del denaro che usciva dalle case dello Stato, veniva destinato a feste a corte e vitalizi vari. Il ministro delle finanze Necker rese pubblici questi dati e il popolo, stremato dagli iniqui sforzi cui continuamente veniva sottoposto si coalizzò per abbattere l'antico regime fondato sul privilegio anzichè sul merito. La Rivoluzione Francese spazzò via una società malata, iniqua e ingiusta: borghesi e contadini, ricchi e poveri, uniti contro l'ingiustizia.

Oggi la situazione è molto diversa da quella d'Ancien Regime?

sabato 10 dicembre 2011

L'attualità della Letteratura: la filosofia del cappotto


Il cappotto è senz'altro uno dei più celebri racconti dello scrittore russo Nikolaj Gogol, un racconto di straordinaria attualità, in grado di offrirci uno spaccato del presente, pur essendo scritto nel XIX secolo.
Akakij Akakievic è un modesto funzionario, vessato dai colleghi e dalla società in cui vive; un giorno scopre che il suo cappotto è troppo usurato e necessità di essere sostituito. Decide quindi di affrontare un esborso, per lui notevole, pur di acquistare un nuovo cappotto. L'acquisto di queso indumento di foggia sartoriale gli permette di guadagnare tutto quel rispetto che fino a quel momento nessuno gli aveva mai portato; tutti si rapportano a lui in maniera rispettosa e gentile. Una sera, dopo aver trascorso una serata alla quale era stato invitato, viene derubato del suo nuovo cappotto. Immediatamente perderà la stima e il rispetto che il suo nuovo acquisto gli aveva fatto ottenere. Akakij Akakievic morirà, ma il suo fantasma vagherà per San Pietroburgo alla ricerca di cappotti da rubare. Lo spettro troverà appagamento solamente quando riuscirà a derubare del cappotto, un individuo che, in maniera sprezzante, non l'aveva aiutato a recuperare il capo che, a suo tempo, gli era stato sottratto.

Straordinario lo spunto filosofico offertoci da Gogol, a dimostrazione che Letteratura e Filosofia, spesso e volentieri si intersecano e si compenetrano l'una con l'altra. Il cappotto rappresenta l'apparenza, la quale permette al protagonista di guadagnare quel rispetto che altrimenti nessuno gli avrebbe mai portato. Privato del suo capo sartoriale, Akakij Akakievic perderà immediatamente tutti gli onori che questo gli aveva portato. L'abito fa il monaco e la forma è più importante della sostanza; è questo l'insegnamento di Gogol. Era vero ieri ed è vero oggi, viviamo nella società dell'apparenza, in cui, purtroppo, conta apparire piuttosto che essere.

Ma quale democrazia?

Da sempre l'uomo esalta la democrazia come miglior forma di governo possibile. Ma siamo certi che sia cosi? E soprattutto, siamo certi che le moderne democrazie siano effettivamente tali? Socrate con tutta probabilità venne condannato a morte per il fatto che si mostrava ostile alla democrazia come forma di governo. Oggi i governi democratici si connotano più che altro come oligarchie mascherate, non per il fatto che governino i migliori, quanto piuttosto per il fatto che governino pochi, pochi eletti. Gli elettori, comunque, sono chiamati a scegliere in relazione ad un ventaglio di opzioni, imposte dai partiti; si è dunque chiamati a scegliere democraticamente fra una serie di alternative imposte. La democrazia, poi, è per definizione il governo del popolo. Ma realmente oggi il popolo governa, o è piuttosto un mezzo nelle mani di quei pochi che detengono il potere? Il popolo è servo o signore? Ai posteri l'ardua sentenza.

E' interesse dei potenti avere dei sottoposti

Il potere necessita di sottoposti, poichè altrimenti snaturerebbe la sua stessa essenza. Se infatti il potere non contemplasse necessariamente anche qualcuno che vi si sottoponga, non sarebbe potente. All'interno della Fenomenologia dello spirito, Hegel illustra la dialettica servo - signore, nella quale sostiene che, in un conflitto tra due autocoscienze, si instauri sempre un rapporto di servitù - signoria, ossia si crei un rapporto in cui un'autocoscienza prevale sull'altra che, di conseguenza, gli si sottopone. Il servo, piano piano, acquisirà coscienza di sè, rendendosi conto di essere lui indispensabile per il signore che lo comanda e non viceversa; comprenderà come colui che comanda detenga il potere esclusivamente per il fatto che qualcuno glielo riconosce e gli si sottopone e, resosi conto di ciò, si emanciperà. Il potere è potente perchè qualcuno gli riconosce autorità e gli si sottopone.

Dubitare significa pensare

L'uomo non pensa più, o meglio, non dubita. Tutti sono sicuri di tutto, l'accettazione passiva degli eventi è divenuta una consuetudine, nessuno si pone più domande. Di fatto l'accettazione passiva è la strada più semplice da pecorrere, ci deresponsabilizza facendo si che ogni decisione venga presa da altri. L'uomo deve ritornare protagonista, ponendosi domande e soprattutto cercando risposte a quelli che sono i grandi interrogativi della storia dell'umanità. Dio, la politica, la morale, tutto dev'essere affrontato in maniera critica; come sosteneva Cartesio, su tutto deve estendersi il dubbio poichè, solo dubitando, potremo arrivare alla verità, potremo tornare protagonisti di un mondo che ormai ci vede ridotti alla stregua di semplici comparse.

Fare Filosofia

La Filosofia e il pensiero, da sempre, accompagnano la vita dell'uomo elevandolo a essere razionale. Ogni cosa nasce dalla Filosofia: basti pensare alla scienza e al Diritto. Infatti molte conquiste scientifiche nacquero come intuizioni filosofiche ed ogni codice di leggi nasce prima di tutto come un insieme di norme concettuali valutabili come giuste o sbagliate all'interno della società nella quale viviamo. L'atomismo di Democrito, nato come teoria filosofica, sappiamo essersi poi affermato scientificamente, anche se con sostanziali differenze. Il Diritto da par suo, affonda le proprie radici nella Filosofia e nel pensiero; infatti, prima di punire un reato, prima di legiferare, è necessario stabilire concettualmente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Il pensiero filosofico abbraccia ogni ambito della vita e lo farà sempre e, per tale motivo, appare quanto mai auspicabile una rinascita della Filosofia, oggi purtroppo, troppo spesso dimenticata. Tutti sono filosofi, o meglio, tutti lo possono essere. L'obiettivo di questo blog è proprio quello di contribuire ad una rinascita e ad un'affermazione del pensiero.