Un campo interessantissimo da analizzare in chiave scettica è quello della scienza. Essa offre un contributo fondamentale all’evoluzione e alla vita dell’uomo, tuttavia presenta al suo interno una contraddizione di fondo. Ricercatori e scienziati di tutto il mondo si battono per affermare la necessità della ricerca, contrapponendola ai dogmi religiosi che, troppo spesso, la frenano e la limitano; cellule staminali, fecondazione assistita, eutanasia, sono tutti argomenti cari alla scienza e tabù per la Chiesa. La scienza conduce un’accanita guerra contro il fondamentalismo religioso, comportandosi però, di fatto, come il suo acerrimo nemico, rifiutando di accettare la possibilità che esista qualcosa di non dimostrabile scientificamente. Essa infatti contrappone al fondamentalismo religioso, un fondamentalismo scientifico per nulla meno ottuso; se la religione infatti impone dogmi la cui validità non è in alcun modo dimostrabile, la scienza fa altrettanto, rifiutandosi drasticamente di riconoscere i propri limiti. Essa parte dal presupposto che tutto sia spiegabile, che ciò che ora non riusciamo a comprendere lo comprenderemo domani poiché ogni cosa ha una spiegazione: una spiegazione scientifica. Ci si rifiuta, ad esempio, di valutare la possibilità che alcune guarigioni inspiegabili siano miracolose, oppure si esclude a priori che la vita possa aver avuto un’origine divina, insistendo nel sostenere teorie che potrebbero essere vere ma potrebbero anche non esserlo. Lo scienziato che rifiuta categoricamente l’esistenza di Dio, che nega con veemenza i limiti della scienza, non è in nulla diverso dal papa o dai vescovi ai quali egli si contrappone. La ricerca scientifica deve continuare, certo, ma deve anche accettare i propri limiti dubitando nella stessa maniera in cui dovrebbe dubitare un fedele osservante religioso o più in generale, ogni essere umano. Non si dimostra negando ma dubitando, uno scienziato non scettico non è uno scienziato, non è interessato alla ricerca della verità quanto piuttosto alla ricerca di una verità. Il dubbio deve allargarsi su tutto, in ogni campo, anche in quello della ricerca scientifica; solo così l’essere umano potrà effettuare quel salto di qualità di cui tanto necessiterebbe ma dal quale è purtroppo molto lontano.
La Filosofia è la base del sapere umano e lo sarà sempre, tutto nasce dal pensiero, ogni ostacolo si supera mentalmente prima ancora che fisicamente.I grandi pensatori hanno costruito le fondamenta della società civile. Continuiamo a pensare.
lunedì 23 gennaio 2012
domenica 8 gennaio 2012
Cosa sono i valori?
Una domanda cruciale nell'analisi filosofica è quella che ci porta a interrogarci su cosa siano i valori. Essenzialmente essi sono ciò che rende un individuo valido e meritevole di stima agli occhi del prossimo. Nel tempo tali valori sono mutati ma in nessun caso possiamo riconoscerne la loro universalità ed effettiva validità. Già Nietzsche puntava il dito contro i valori antivitali promossi dal Cristianesimo, criticando l’assoluta irrazionalità e insensatezza nel riconoscere come peculiarità umane meritevoli di stima, l’inclinazione al sacrificio e alla carità, la castità e l’autoflagellazione. Insensatezza e irrazionalità a parte, per quale motivo l’uomo dovrebbe accettare ossequiosamente come valore un precetto antivitale? Non tutti condividerebbero, verrebbe meno l’universalità e quindi, non saremmo in presenza di un valore. Anche Onfray, in tempi più recenti ha attaccato l’esaltazione dei valori antivitali, senza però soffermarsi sull’aspetto più moderno e ampio del discorso. Oggi a questi valori, se ne sono affiancati altri: la ricchezza e la bellezza fisica dominano l’immaginario collettivo della nostra società, venendo visti come obiettivi da raggiungere con ogni mezzo. Nel mondo contemporaneo il denaro eleva l’individuo a figura da osannare ma non è detto che effettivamente la ricchezza debba essere considerata un valore; essa genera disparità e, per questo, genererà stima in alcuni e sentimenti opposti in altri, in coloro che da tale ricchezza sono penalizzati o in coloro che vorrebbero possederla e invece non la possiedono. Ciò mostra in maniera inequivocabile la mancanza di universalità di ciò che noi definiamo valore, poiché, altrimenti, tutti noi lo riconosceremmo come degno di stima incondizionatamente. La bellezza fisica a sua volta manca dell’universalità necessaria per essere definita un valore, poiché, sempre ammesso che la bellezza possa essere definita in maniera oggettiva, essendo indipendente dalle capacità, non può generare stima, al più ammirazione; piuttosto genererà invidia nell’individuo che ne è sprovvisto. I valori dovrebbero necessariamente scaturire dalla morale ma, non essendo quest’ultima ad oggi conoscibile, non potrà essere conoscibile neppure ciò che da essa eventualmente scaturirebbe.
lunedì 26 dicembre 2011
L'uomo e Dio
Il rapporto tra l'uomo e Dio, è da sempre il problema più controverso e maggiormente dibattuto in ambito filosofico. Qualunque sia la divinità in questione, la società si divide in credenti e non credenti, la stessa Filosofia ha assunto nel tempo posizioni divergenti sulla questione. Molte sono le dimostrazioni dell'esistenza di Dio, nessuna pienamente convincente e accettabile oltre ogni ragionevole dubbio; altrettante sono le teorie secondo cui la divinità non esisterebbe, basti pensare a Feuerbach e Onfray, ma anche in questo caso, esse non risultano accettabili oltre ogni ragionevole dubbio. Molti sono gli elementi che ci potrebbero portare a credere, molti altri quelli che ci potrebbero portare a non credere. In realtà l'uomo non è certo di nulla, sicuramente non è in grado di dare una risposta ai grandi interrogativi dell'umanità; sbagliano coloro che accettano ossequiosamente l'esistenza di Dio senza porsi domande e senza dubitare, parimenti sbagliano coloro che, a priori, ne escludono l'esistenza. Credenti e atei danno origine ad uno scontro frontale fra due fondamentalismi, in quanto entrambi sostengono strenuamente la propria posizione, escludendo aprioristicamente la possibile veridicità del contraltare. Il so di non sapere socratico e la dotta ignoranza di Cusano ci indicano la strada da seguire: prendere coscienza della propria impossibilità nel rispondere all'interrogativo relativo all'esistenza di Dio e ricercare la verità dubitando di tutto ciò che non può essere dimostrato o escluso in maniera assolutamente certa: l'esistenza di Dio, infatti, non può essere dimostrata in maniera indiscutibile e indubitabile ma non può neppure essere esclusa oltre ogni ragionevole dubbio.
martedì 20 dicembre 2011
L'attualità della Letteratura: la filosofia del giovane Holden
Holden Caulfield studia presso un college in Pennsylvania e da un punto di vista scolastico i suoi risultati sono decisamente scarsi, nella quasi totalità delle materie; egli, tuttavia, si mostra indifferente e scanzonato, anche quando viene bocciato. In seguito al litigio con il compagno di stanza, abbandona anzitempo il college, preferendo fare ritorno a casa, a New York. Non volendo rendere noto ai genitori il proprio insuccesso scolastico, Holden, una volta in città, alloggia presso un Hotel; qui inizia a bighellonare per la città, barcamenandosi come gli riesce, mantenendo il suo solito piglio canzonatorio nei confronti della vita. Dopo alcune peripezie ed esperienze di vita, decide di fare ritorno a casa, al fine di rivedere la sua piccola sorella Phoebe, con l'intenzione di non farsi scoprire dai genitori. I genitori di Holden, quella sera, sono fuori casa e lui, di conseguenza, riesce ad intrattenersi con l'amata sorellina, alla quale vuole molto bene.Al ritorno dei genitori, Holden riesce a fuggire di casa senza farsi scoprire. Si reca quindi dal suo vecchio docente di inglese, il professor Antolini. Dopo questa visita, Holden se ne va, deciso a prendere il treno per l'ovest dove intende cercare fortuna. Desideroso di salutare per l'ultima volta la sorella, le dà un appuntamento, al quale, però, ella si presenta chiedendo al fratello di portarla con sè. Holden, a questo punto, commosso, decide di ritornare a casa. Il romanzo si conclude con Holden, in cura da uno psicanalista.
Holden rappresenta un po' quello che tutti noi, avremmo voluto essere, almeno una volta. Il desiderio di evasione, di fuga dalla realtà, la voglia di leggerezza, di poter vivere una vita spensierata senza prendersi troppo sul serio, incarna il desiderio latente di tutti gli esseri umani. I desideri cozzano con gli affetti e ad un certo punto della propria vita, tutti si trovano a dover fare i conti con la realtà ma quel periodo scanzonato, quella vita a tratti dissipata, in fuga da tutto e da tutti, fa capire ad Holden Caulfield e a tutti noi, il valore del dono più bello che gli uomini possano desiderare: non il denaro, non la bellezza, non i beni materiali ma la libertà...anche quella di poter sbagliare.
domenica 18 dicembre 2011
Elogio dello scetticismo
Oggi tutti appaiono sicuri di tutto, tutti ritengono di possedere la verità nelle proprie tasche ma si sbagliano. E si sbagliano di grosso. L'uomo non sa o comunque sa molto poco e, del resto, ai grandi interrogativi non può rispondere; altrimenti questi non sarebbero tali. Ogni uomo deve ricercare le grandi verità dubitando, assumendo una posizione scettica riguardo qualunque quesito, non postulare verità se non quando le può dimostrare o negare oltre ogni ragionevole dubbio. Chiunque si erga a custode della verità, consciamente o inconsciamente sbaglia, poiché solo l’evidenza è affermabile con sicurezza assoluta. La posizione scettica è la più intelligente e acuta possibile, oltre che l’unica, in quanto riesce a farci prendere coscienza dell’unica verità indiscutibile: l’evidenza. Questo scetticismo non è da confondersi con il so di non sapere socratico, che vedeva nella consapevolezza della propria ignoranza il punto di partenza per ogni analisi o discorso filosofico; l’individuo non deve partire dalla propria ignoranza ma da ciò che sa, da ciò che conosce. Solo da quello. Dobbiamo quindi partire dalla nostra conoscenza, che può essere anche molta ma necessariamente è ristretta al campo dell’evidenza. Spingersi oltre, postulare verità senza poterle dimostrare rigetta l’uomo nell’oblio dell’ignoranza. Tutto può esistere, certo; ma in realtà esiste solo ciò che può essere dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. Negare l’esistenza di qualcosa che non vediamo, per certi versi equivarrebbe ad affermare l’esistenza di qualcosa che non vediamo, infatti se non si può affermare che un qualcosa esiste senza dimostrarlo, è altrettanto vero che non si può negare l’esistenza a priori di un qualcosa che non ci risulta evidente, poiché potrebbe esistere a prescindere dalla nostra incapacità di rendercene conto.
Il dubitare, del resto, non parte dall’ignoranza ma al contrario dalla sapienza, sapienza di ciò che sappiamo. Di tutto ciò che non è dimostrabile, non dobbiamo escludere l’esistenza, poiché equivarrebbe al gesto dello struzzo di ficcare la testa sotto la sabbia; gli uomini non sono struzzi e per tale motivo, ciò che non è dimostrabile deve generare in noi il molteplice dubbio: potrebbe essere/potrebbe non essere, potrebbe esistere/potrebbe non esistere, Sarebbe infatti sbagliato credere a ciò che non può essere dimostrato, allo stesso modo in cui sarebbe errato, proprio per tale motivo, escluderlo. Se potessimo ritornare indietro nel tempo e ci trovassimo catapultati nel Medioevo e chiedessimo a un passante se sia possibile per l’uomo volare, ci risponderebbe con sicurezza in maniera negativa, non esistendo all’epoca dimostrazioni relative a tale possibilità; rispondendo di no, comunque, sbaglierebbe, poiché, come oggi ben sappiamo, il volo è possibile. Se il nostro amico medioevale rispondesse invece di non escluderne la possibilità, risponderebbe nella maniera corretta. E la Storia, come sappiamo, gli darebbe ragione.
venerdì 16 dicembre 2011
Il genio
L'essere umano, da sempre, risulta affascinato dalla figura del genio, ossia da colui che è dotato di una sensibilità talmente spiccata in un determinato ambito, tale scavalcare i confini che delimitano lo stesso. La sua attività è inspiegabile. non può in alcun modo essere razionalizzata, nè può essere equiparata a quella di altri. Il genio è dotato di un'intuizione e di un'ispirazione che trascendono la perizia tecnica della sua stessa arte. Michelangelo, Raffaello, Einstein, Mozart, Leopardi, sono eccelsi per le loro intuizioni e non per la messa in pratica delle stesse; essi vedono laddove i comuni mortali non vedono, pensano ciò che la moltitudine non pensa. La realizzazione pratica dell'intuizione è secondaria, è l'intuizione in se stessa a costituire l'essenza del genio. Il genio poi, con la sua inspiegabile ispirazione, regola e stabilisce i canoni della propria arte; egli, infatti, mostra il punto più alto che la disciplina nella quale si cimenta possa raggiungere, determina il punto d'arrivo oltre al quale non è possibile andare. Ma com'è possibile l'esistenza del genio? Da dove trae la propria ispirazione, così inspiegabile e così straordinaria? La Filosofia ha più volte tentato di rispondere a questo quesito, senza riuscire ad offrire una risposta certa, vera oltre ogni ragionevole dubbio e, probabilmente, non sarà mai in grado di farlo. Qualunque sia la verità, la genialità, a prescindere dal campo nel quale si manifesti, parrebbe mostrare l'esistenza del metafisico, dell'ultraterreno, del divino.
mercoledì 14 dicembre 2011
La società dell'obbedienza
La nostra società risulta essere quanto mai fondata sulla passiva accettazione delle imposizioni, un ossequioso e aprioristico subire, un continuo e ridondante obbedire anche alle più inique e ingiuste imposizioni. Ogni aspetto della vita umana è fondato su tale sistema, un sistema frutto dell'ignoranza collettiva. Nessuno si pone domande, non ci si interroga se ciò che ci viene imposto sia giusto oppure sbagliato, si accetta e basta. Sempre e comunque. La società ci impone religione, politica, costumi e noi accettiamo tutto non ponendoci la benchè minima domanda sulla legittimità di tali imposizioni. L'uomo si sta spersonalizzando, si sta uniformando alle regole dettate da un sistema che gode nel vedere realizzato il proprio esercito di cloni obbedienti. Occorre avviare un processo volto a riaffermare l'essenza del singolo che, quindi, emancipandosi dalla condizione di vittima, assurgerebbe al ruolo di protagonista di una società che ora più che mai lo sta travolgendo con la forza di un fiume in piena. Gli uomini debbono ricominciare a porsi interrogativi, a ricercare risposte, a seguire la propria indole e le proprie inclinazioni, mettendo in discussione, qualora fossero inique, tutte le imposizioni promananti dall'alto. Fintanto che l'uomo accetterà a priori tutto ciò che gli verrà imposto, non potrà lamentarsi della propria condizione ma soltanto compiacersene, in quanto essa, non sarebbe altro che la logica conseguenza di un comportamento intellettualmente ignorante.
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